Il Classico che non sfiorisce mai – Chianti Classico DOCG 2017 – Riecine

L’aggettivo classico deriva dal latino classicus, e vede come significato principale quello riferito all’appartenenza alla più alta classe dei cittadini dell’antica Roma, ma oggi voglio porre l’accento sulla connotazione che ottiene quando diventa sostantivo. Esso assume una valenza molto importante, poichè definisce valori come l’eccellenza e la perfezione, che unendosi creano un matrimonio esemplare che funge da modello di un genere, di un gusto o di una maniera artistica. In poche parole con il termine classico, si definisce una tradizione, in molti casi la migliore, che dona ai posteri i chiari tratti stilistici da perseguire. C’è una zona toscana, a me molto cara, che utilizza questo aggettivo per definire il suo retaggio, un rapporto equiparato tra storia, leggenda, geografia e geologia. Si tratta del lembo di terra conosciuto, fin dal 1.300 d.C., con il nome di Chianti. Questo splendido territorio è disegnato dal rincorrersi di colline rocciose, abitate da persone forti e orgogliose che da secoli proteggono i boschi selvaggi dall’eccessiva antropizzazione. La loro tradizione (o classicità) è riferita prevalentemente alla profonda conoscenza dell’allevamento della vite, che viene identificata prevalentemente nell’allevamento del Sangiovese, il Re delle varietà toscane. Egli cresce nella moltitudine di terreni, esposizioni e microclimi che fanno parte degli 8 comuni della DOCG (San Casciano, Greve, Barberino Tavarnelle, Radda, Castellina, Poggibonsi, Gaiole e Castelnuovo Berardenga), traendo da ognuno di loro caratteristiche organolettiche profondamente diverse. Queste diversità, vengono rese ancor più nette dall’operato di alcuni produttori, che seguendo il loro senso di appartenenza, decidono di esaltare l’originalità dei loro vini, consapevoli di seguire fedelmente la classicità definita dal Barone Bettino Ricasoli nel 1872.

La cantina di Riecine, prossima al paese di Gaiole – Copyright http://www.themarchian.com

Seguendo queste premesse legate all’originalità della zona di provenienza, oggi scelgo di raccontare un vino che nasce nel comune di Gaiole, già solido pilastro della Lega del Chianti nel 1384. Esso, insieme a Radda, Castellina ed una parte del comune di Greve, rappresenta la genesi dei confini del Chianti, definiti nel 1716 dal geniale Bando Granducale di Cosimo III de’Medici. E’ il Chianti Classico 2017 di Riecine, oggi di proprietà di Lana Frank, che dal 1971 (anno della sua fondazione, da parte di John Dukley) ha saputo primeggiare seguendo la strada della territorialità, facendosi così bandiera del gusto più concreto e sincero del Sangiovese chiantigiano. Fu proprio John Dukley a innamorarsi del “Chiantishire” (così lo chiamano gli anglosassoni) attraverso gli spettacolari panorami collinari e soprattutto attraverso le persone, a volte burbere come il loro Sangiovese. Egli decise di stabilirsi a Gaiole, comprando il primo ettaro e mezzo di vigna dalla Badia di Coltibuono. Una scelta ideale, vista la strepitosa struttura geologica che compone il sottosuolo della zona Nord-Est del comune. Quest’area è incastonata nella fascia meridionale dei Monti del Chianti, un raggruppamento di alte colline, createsi durante gli scontri tettonici che hanno generato gli appennini. Questi “monti” hanno come base una pietra grigiastra con sfumature azzurrine, detta macigno o pietra serena (formatasi circa 30 milioni di anni fa, tramite la sedimentazione di sabbie, limi e argille) molto malleabile e perciò usata già in epoca romana per la costruzione di pavimentazioni ed edifici. La parte superficiale è formata da una netta prevalenza sassosa con poca presenza di terreno sciolto (argilla), su cui convivono galestro (argilla grigiastra scagliosa), alberese (roccia calcarea con striature biancastre, molto dura), quarziti, arenarie e rocce selcifere del Giurassico (150 milioni di anni fa). I grandi vini di Riecine nascono grazie a questi suoli, in particolar modo quando le radici del Sangiovese incontrano il substrato calcareo, che dona vivacità di colore, florealità dei profumi e importante freschezza gustativa. La grande dote ambientale (mix unico tra clima continentale e altitudini tra i 450 e 500 metri s.l.m.) è stata sempre esaltata da Carlo Ferrini (attuale enologo di Riecine) e da Sean O’Callaghan che lo ha succeduto dal 1997 fino al 2016. Entrambi hanno saputo esaltare la purezza del Sangiovese, facendogli esprimere tutta la dinamica essenzialità del terroir di Gaiole. Una purezza che ritrovo anche oggi, dinanzi al vino che ho nel calice, capace di comunicarmi, solamente guardandolo, impressioni di luminosità, vivacità e classicità. Il bagaglio olfattivo racconta i profumi del Chianti, sviluppandosi prevalentemente intorno a profumi floreali di violetta, giglio e rosa rossa, che poi lasciano spazio a fragranti ricordi di melagrana, ribes rosso e ciliegia non ancora matura, tutti contornati da uno sfondo balsamico che porta alla mente le piante mediterranee come il rosmarino e la lavanda. A livello gustativo il sorso disegna uno scorrimento verticale, retto dalla chiara verve acida e animato dalla tenue presenza tannica, che incide nel dare sprint senza però risultare ridondante. La chiusura ha un sviluppo a V, che si stringe in prossimità della faringe, regalando eleganti richiami aromatici di arancia sanguinella, violetta e resina di rosmarino. La persistenza è medio-lunga, affidata principalmente al persistere dell’aroma di arancia, fluidificato magistralmente da un minerale rimando iodato. Si tratta di una fulgida esperienza di Chianti Classico, che rappresenta al meglio il territorio di Gaiole, diventandone un dichiarato alfiere posto a protezione della classicità chiantigiana. Conservavo questa bottiglia in cantina da circa un annetto, me la immaginavo più carica e massiccia (vista l’annata molto torrida e anticipata) e invece l’ho trovata dinamica e corroborante, un po’ come una violetta imperitura, semplicemente incapace di sfiorire.

TheMarchian.

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