Solisti in Penombra

Solisti in penombra è un percorso a tappe in cui tratterò di vari vitigni autoctoni toscani vinificati in purezza che riprende il titolo dalla tesi che ho portato al Master ALMA-AIS. Essa era una ricerca che ho svolto su alcuni vitigni autoctoni toscani, che nel corso degli anni sono stati messi in ombra dalla supremazia del Sangiovese. Oggi stanno riemergendo dai ricordi ampelografici, grazie al lavoro di molti vignaioli caparbi e lungimiranti, che gli stanno facendo vivere una seconda giovinezza. Molti nomi sono conosciuti e altri meno, ma tutti sono dei caratteristici rappresentanti della nostra splendida regione. Sin da subito sono rimasto affascinato da queste antiche varietà, trovando in loro dei tratti identitari che a volte mancano in alcuni vini toscani. Il mio lavoro si è basato molto sulla ricerca di informazioni sui vitigni (tutti iscritti sul registro delle varietà da vino italiane del mipaaf) per avere un quadro storico/geografico in cui orientare la mia bussola di esploratore. Dopo aver stabilito le caratteristiche generali sono passato a comprendere i tratti varietali che hanno portato ad una netta diminuzione del loro utilizzo nelle vigne, scoprendone fragilità, scarsità di resistenza alle malattie e difficoltà nella produzione. Subito mi sono chiesto perchè stiano venendo recuperati con grande foga, ebbene la risposta l’ho avuta durante gli assaggi dei vini da loro creati. Si tratta di succhi diversi, unici, in alcuni casi difficili, ma di grande attinenza al territorio e alle peculiarità delle varietà; un lato che li differenzia notevolmente dal Sangiovese (che invece è un camaleonte, in grado di adattarsi e di mutarsi in funzione di territorio e micro-clima). Viste le poche notizie che ruotano intorno agli autoctoni toscani, ho da subito capito che avrei dovuto assaggiare i vini di vari areali, in modo da trovare analogie e differenze, che mi rendessero in grado di strutturare un pensiero chiaro e corretto sulle loro doti organolettiche.

fig.1 – L’ombra della Sera


Il racconto di questi vitigni parte prima della nascita di Cristo, quando la civiltà etrusca viveva e lavorava tra le colline e le pianure dell’odierna Toscana. Dobbiamo immaginarci un contesto antico, privo di tecnologia, in cui la vita era breve e la trasmissione della conoscenza era molto difficoltosa. I nostri antenati coltivavano le viti facendole maritare agli alberi, un sistema arcaico, ma sicuramente più naturale (dell’odierno a spalliera), che assecondava l’indole selvatica e rampicante della Vitis Vinifera Europea. I vitigni che loro coltivavano erano proprio quei Canaiolo, Colorino, Ciliegiolo, Mammolo, Fogliatonda, Pugnitello, Barsaglina, Abrustine e Colombano che dopo il flagello della Fillossera (primi anni del ‘900) quasi scomparvero dalle vigne mezzadre dei contadini toscani. Durante i reimpianti, sia i contadini che i proprietari terrieri scelsero di sostituirli con le varietà più resistenti e produttive, facendo diventare questi vitigni originari dei gregari al supporto del Sangiovese. Qualche anno dopo, durante “la corsa al vino” (similitudine che richiama la corsa all’oro), vennero addirittura oscurati dall’arrivo dei vitigni francofoni, che diventarono gli attori principali del fenomeno “Supertuscan”. Questi, un tempo solisti, vennero così coperti da una fitta ombra, che gli ha confinati nei pochissimi rimasugli vitati in giro per la Toscana. Sembravano destinati a perire, ma alcuni produttori decisero di puntare sulle loro peculiarità e li aiutarono ad uscire lentamente dall’ombra, azzardando sperimentali vinificazioni in purezza. Oggi stanno uscendo dall’ombra possente del Sangiovese, e così come fu per L’ombra della sera (fig.1) sono destinati a tornare dei fieri solisti in grado di trasportare i nostri sensi alla riscoperta delle nostre radici etrusche.
TO BE CONTINUED…

TheMarchian.

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