
Il Fogliatonda e le sue forme antiche, la foglia grande e tondeggiante, il grappolo lungo e compatto, difficile da mantenere areato e perciò molto soggetto all’attacco delle muffe, molto produttivo e per questo difficilmente controllabile con il vecchio sistema dell’archetto toscano. Un vitigno quasi dimenticato, che lentamente sta riemergendo da un lungo letargo, durato fin troppi anni. Conosciuto sin dal tempo degli etruschi, in passato veniva utilizzato per infondere (al nostro amato Sangiovese) forza, struttura ed acidità. La prima persona che ci ha creduto, riportandolo in auge, è stata Donatella Cinelli Colombini, che lo ha utilizzato insieme al Sangiovese nel suo Cenerentola della Fattoria del Colle (a Trequanda, in Provincia di Siena). Grazie alla spinta della “Signora del Brunello”, molti produttori della Val d’Orcia hanno rivalutato il Fogliatonda, ricominciando ad utilizzarlo in commistione con il Sangiovese. In pochissimi, hanno però deciso di tentare la sua vinificazione in purezza, rivelando tutte le difficoltà del caso, legate principalmente alla difficoltà nel trovare la precisa maturità fenolica dell’uva, che se non rispettata può creare cotture del frutto o ancor più fastidiosi tannini polverosi e sgraziati. Un’azienda che ha saputo smussare gli angoli vivi del Fogliatonda è la lastrigiana Piandaccoli, che identifica nel suo mono-varietale, Fogliatonda del Rinascimento, l’apice qualitativo della sua produzione. Le uve provengono da un singolo vigneto chiamato “La Fattoria”, posto tra Malmantile e La Ginestra (entrambe nel comune di Lastra a Signa) a 250 metri di altitudine su un terreno argillo-sabbioso ricco di pietre di origine morenica. Qua il Fogliatonda raggiunge maturazioni idonee, che successivamente vengono accompagnate da un delicato passaggio in tonneau francesi usati, che arricchiscono la complessità e la generosità del suddetto senza coprirne le sue caratteristiche principali. Oggi apro una 2012 (annata calda che in alcuni recenti assaggi si è rivelata un po’ stanca e “overcooked”), il loro primo imbottigliamento in purezza, chissà come si sarà comportata durante questi anni di bottiglia? La risposta è benissimo!! Si presenta di un rosso granato, con sfumature che deviano vivacemente verso l’aranciato, segnato dall’evoluzione, ma comunque luminoso e gioviale. I profumi raccontano una ricca stratificazione di sensazioni, partono dalle note più terrose che ricordano il tartufo bianco, le foglie umide, il tabacco secco ed il cuoio. Con energia escono profumi più balsamici che mi ricordano la scorza d’arancia candita, la caramella alla menta e la resina di pino. Le dolci speziature si integrano perfettamente e donano una necessaria profondità d’insieme. Senza indugi passo all’assaggio e scopro un sorso nitido, verticale e repentino. La freschezza si fa largo senza sgomitare, ma dona la necessaria bevibilità al vino. I tannini si sono inglobati perfettamente con gli aromi e insieme regalano una chiusura di prugna mista a chiodi di garofano. Masticando e facendo ossigenare il cavo orale si delinea la sua deliziosa persistenza aromatica intensa, che indovinate un po’ cosa richiama? L’arancia sanguinella!! Il timbro dell’acidità toscana, che forgia i nostri palati e rende riconoscibile ogni vitigno impiantato sui nostri terreni ricchi di scheletro. Questo vino viene prodotto sulle colline della mia città natale, e per questo ci sento un legame viscerale, profondo, che me lo ha fatto adorare sin dal primo assaggio di 5 anni fa. Dopo la cinta muraria del Brunelleschi, Lastra a Signa ha trovato la sua nuova opera d’arte, sapientemente scolpita dalla famiglia Bruni di Piandaccoli!

TheMarchian.