
Il Sangiovese è il vitigno del cuore e i suoi vini scorrono intensamente nelle mie vene toscane. Frequentemente provvedo a fare delle trasfusioni del “Sangue di Giove”, perchè da buon fiorentino necessito delle sue proprietà dinamiche e corroboranti per dare al mio fisico il giusto sostentamento. Esso è un camaleonte, in grado di modificarsi in base alla zona in cui viene allevato, e in modo democratico sa esaltare le doti migliori di ogni terroir. Sì facendo, diviene un prode emissario di clima e ambiente geologico, modulando intensità cromatica, fragranza dei profumi e tannicità; pur mantenendo una caratteristica fortemente identitaria: l’acidità. A prescindere dall’areale in cui si trovi (più o meno temperato) riesce sempre a dare ai vini una dotazione di freschezza che sviluppa dinamicità e corroboranza, insomma i tratti che ne definiscono la sua strepitosa bevibilità. E’ vero, il “Sangio” (come lo chiamano i suoi seguaci) origina anche vini banali, ma da quando si è adattato ai territori del vino toscano è diventato grandissimo; lo testimoniano Denominazioni come il Chianti, Chianti Classico, Carmignano, Brunello di Montalcino e Nobile di Montepulciano, in cui recita il ruolo di incommensurabile protagonista.

C’è un areale all’interno dell’ampia Denominazione del Chianti (circa 15.500 ettari di vigneti), che è stata eletto dalla storia ad entrare di diritto tra le zone migliori per la produzione di vini rilevanti. Questa zona è la Rufina, una delle 7 sottozone del Chianti, che si trova a circa 20 km a nord-est di Firenze, poco prima di immergersi nelle folte foreste casentinesi. Qui, lungo il corso della Sieve, si sviluppano i comuni di Pontassieve, Rufina, Londa, Pelago e Dicomano che quietamente si poggiano sulle dolci colline che da 200 arrivano sino a 400 metri di altitudine. Tra questi poggi, il Sangiovese trova da sempre una particolare riuscita, grazie a terreni ricchi di scheletro (principalmente galestro e alberese), profondi e freschi; da cui estrapola verticalità, femminilità e impareggiabile longevità. Nel comune di Rufina nasce un vino iconico, che ha fatto grande il nome del Sangiovese nel mondo. Questo Sangiovese in purezza nasce in località Selvapiana, che dona il nome alla proprietà della famiglia Giuntini, costruita passo dopo passo grazie alla lungimiranza di Francesco che dal 1957 ha rappresentato lo spirito avanguardistico del Chianti Rufina. Fu proprio lui, insieme a Franco Bernabei, nel 1979 a creare il primo vino della Rufina da singolo vigneto: il Vigneto Bucerchiale. Oggi a capo dell’azienda c’è Federico (figlio adottivo di Francesco) che continua a perseguire la strada tracciata da Francesco, mantenendo viva la leggendaria eccellenza della Rufina.

Il Vigneto Bucerchiale è oggi un Chianti Rufina Riserva di grande spessore e da tutti riconosciuto come assoluta eccellenza, le 41 vendemmie che si porta sulle spalle non lo hanno minimamente stancato; anzi il vigneto continua ad essere l’assoluto protagonista che dona al vino le caratteristiche uniche che lo hanno reso una vera e propria icona. Si tratta di una vigna posta tra i 250 e i 300 metri di altitudine che poggia su un suolo argillo-calcareo profondo e fresco, ideale per donare al Sangiovese eleganza, freschezza e ineguagliabile longevità. Il liquido spremuto dalle uve viene poi fatto macerare con le bucce per circa 30 giorni, in modo da estrarre tutti i componenti fenolici e assottigliare la massa colorante. Concluse le due fasi fermentative (la tumultuosa e la malo-lattica) il vino viene posto in barrique per 16-18 mesi, a cui segue un ulteriore anno di affinamento in bottiglia prima di uscire sul mercato.

Quest’oggi degusto un Vigneto Bucerchiale 2013, frutto di un’annata in controtendenza rispetto alle precedenti; fresca e ben piovosa d’inverno e calda nei mesi estivi, bilanciati da perfette escursioni termiche tra notte e giorno. Le piogge del mese di settembre hanno poi portato ad una maturazione tardiva delle uve con conseguente maggiore selezione in vigna. E’ sicuramente un’annata che sul momento è passata un po’ in sordina, ma che ha dato al Sangiovese le precise doti che identificano il terroir della Rufina, quindi eleganza, profondità e la sua proverbiale longevità. Nel calice rappresenta perfettamente la tipicità del Sangiovese, macchiandosi di un tenue rosso rubino che sinuosamente vira al granato; si lascia guardare attraverso con fare estroverso, denotando tutta la sua splendida semi-trasparenza. I profumi sono intensi e si rincorrono in un movimento “melodico” di rara profondità. L’incipit dona ricordi d’antan, legati a legno di cedro, tabacco e cenere di caminetto spento, il prosieguo è legato a ricordi di erbe officinali e fiori in appassimento che si legano a note fruttate di ribes e lamponi in confettura. Sullo sfondo interagiscono note balsamiche (canfora e menta) e tostate di cioccolato fondente. Poco prima di abbandonare l’approccio olfattivo, fa capolino un’ultima suggestione, che preannuncia il carattere dinamico del vino, legata alla scorza di arancia sanguinella. L’ingresso in bocca è sontuoso, con un impatto iniziale legato agli aromi di cioccolato fondente e spezie orientali ed un proseguimento verticale legato alla compartecipazione tra tannino e acidità, che per un attimo serrano lo scorrimento a centro bocca. Da questo istante entra in gioco il sapore che rende grande il Sangiovese; quello dell’arancia sanguinella, che esplode e irreprensibilmente trascina il sorso fino alla deglutizione all’interno della faringe. La persistenza aromatica intensa è lunghissima, affidata alla tendenza amarognola dell’arancia e alla tipica nota carnacea e metallica del Sangiovese di razza. La profondità di questo sorso è impareggiabile, infatti ho la percezione che gli aromi si rincorrano all’infinito, invitando il mio cervello a riavvicinare le labbra al calice per un altro fantastico sorso.
Come dice sempre il mio maestro Massimo Castellani – è la Toscana che fa grande il Sangiovese – poichè il micro-clima e la natura geologica delle nostre colline lo trasformano da sempliciotto a nobile dal portamento raffinato. Ed è così che a Selvapiana, il Sangiovese di territorio indossa lo smoking e incanta i degustatori con eleganza e raffinatezza, diventando un’icona che sovverte le regole dello scorrere del tempo.

TheMarchian.