
Sono le 10.30 di un luminoso sabato di dicembre, il calore del sole mitiga il clima e riscalda gli animi del nostro quartetto di curiosi enovaghi. Siamo nelle Langhe, precisamente a Perno, un piccolo paesetto inerpicato sulle alture di Castiglione Falletto, dove Mario Fontana ha costruito la sua piccola Repubblica enologica. Qua a partire dalla metà degli anni 90′ ha lentamente portato avanti la sua idea di lavoro, basata su profondi valori etici e morali. Valori che ha divulgato e condiviso, prima con il suo gruppo di lavoro e poi con i suoi fedelissimi fan. Nella sua cantina ci accoglie Marisa, appassionata assistente che cura con amore le attività commerciali e relazionali dell’azienda. Da lei apprendiamo la faticosa strada percorsa da Mario prima di arrivare all’odierno successo, cominciata nel 94′ quando per poter esprimere il suo potenziale decise di abbandonare la certezza secolare dell’azienda di famiglia, ripartendo solamente dalla sua nitida idea enologica. Ripartì da una manciata di ettari regalategli dal nonno qualche anno prima e con tenacia e pazienza cominciò a costruire le sue fondamenta, impostandosi su uno stile classico, che secondo lui avrebbe dovuto proseguire la linea tradizionale tramandatagli dal know-how famigliare. L’impatto sul mercato ha tardato nel trovare un’affermazione commerciale, poichè in quegli anni l’idea semplificativa del Nebbiolo che esportavano i “Barolo Boys” dominava i palati e i gusti degli appassionati, lasciando poco spazio allo stile austero e longevo proposto da Mario. Oggi questi periodi duri e poco remunerativi sono solamente un lontano ricordo, che lascia spazio allo spassionato apprezzamento della cifra stilistica da lui perseguita con fatica. Giusto il tempo di assaggiare, insieme a Marisa, il Nebbiolo 2017 dalla botte da 10 hl, che Mario ci raggiunge e prende le redini del discorso, cominciando una lunga ed emozionante chiacchierata durante la quale ci comunica tutta la passione e la cultura che ha messo all’interno del suo percorso enologico. Parlare con lui è veramente piacevole e ascoltare le sue ragioni ci convince ancor di più della bontà e della serietà che riesce a concentrare all’interno dei suoi magnifici vini. Dopo gli estasianti assaggi dei Barolo che saranno, dalle vasche di cemento, giunge il momento di spostarsi nella sala degustazione. Ci sediamo intorno ad un lungo tavolo rettangolare coperto da una iconica tovaglia a quadri, che con la sua semplicità colora e riscalda questa sorta di piccola taverna. Mario decide di farci affrontare un’emozionante percorso storico, per farci comprendere a fondo il carattere audace e longevo dei suoi vini, partendo dalla Barbera d’Alba 2016 fino ad arrivare al Barolo 1967 che in etichetta riporta il nome di Saverio Fontana, il suo amato nonno. Tra questa gioiosa moltitudine di emozioni enoiche, scelgo di mettere nero su bianco la descrizione del Barolo 2014, un’annata fresca e piovosa che, da troppi addetti ai lavori, è stata giudicata come “minore”. Nelle mie esperienze questa annata mi sta regalando continue sorprese, perchè mette in risalto caratteristiche a me care, come eleganza e serbevolezza. Il Barolo secondo Mario è proprio così, un vino schietto e sincero, che racconta con orgoglio l’andamento dell’annata e l’unicità del suo territorio. Nel calice mette in mostra una lucente vivacità, descrivendosi con accese tonalità di rosso, che mi fanno pensare di aver di fronte un concentrato di energia e passione. L’impressione visiva si fa concreta appena infilo il naso nel bellissimo calice Zalto, qua i miei ricordi vengono trasportati a riconoscimenti olfattivi che solitamente toccano le corde del mio spirito, la gelè di agrumi (che incarna la nota fruttata) si fonde con il profumato fiore di lavanda, mettendo in risalto la freschezza del millesimo. Senza alcuna fatica fanno capolino anche le sensazioni che rendono il Nebbiolo il trasparente rappresentante del suo territorio, cioè quei profumi di carne cruda, chiodi di garofano e terra umida, che con un po’ di pazienza arrivano a toccare anche il tartufo bianco. Lo assaggio e mi innamoro, percepisco la sua snellezza (legata all’acidità), la sua trama tannica ancora un po’ indomata che sprinta il sorso sino al brillante finale salato, quasi salmastro. Nel suo percorso degustativo lo identifico come un ciclista, che nel mezzo di una salita parte in fuga solitaria e che una volta di fronte al traguardo ha la volontà di effettuare l’ultimo e decisivo scatto per la vittoria! Mi sbilancio, è un vino del cuore, perchè è un instancabile portavoce di gentilezza, passione e precisione…valori che appartengono alla tradizione e che non possiamo permetterci di fare sparire dalla nostra cultura.
TheMarchian.