
L’eleganza è un tratto distintivo che interseca grazia e semplicità, definendo con classe una personalità calibrata e mai eccessiva. È un riconoscimento oggettivo, che in pochi istanti, riesce nel difficile atto di mettere d’accordo le convinzioni di tutti. A Monteraponi – splendida realtà Raddese – la finezza e la raffinatezza sono di casa, e vengono eletti a valori assoluti in grado di esplicare nitidamente la cifra stilistica che sintetizza il lavoro di Michele Braganti e Alessandra Deiana. La punta di diamante che concretizza il loro concetto è il Baron’Ugo, un vino a maggioranza Sangiovese unito a piccole parti di Canaiolo e Colorino, provenienti dalla vendemmia di un’unica vigna. Un vero e proprio Cru tra i più alti del Chianti Classico, che dai suoi 570 metri di altitudine domina il panorama di Monteraponi. Questo vino rappresenta, più di ogni altro, lo sconfinato amore di Michele per i concetti di eleganza e terroir della Borgogna, da cui prende spunto per creare un Sangiovese snello e setoso dai tratti pinotteggianti, capace di esprimere classe e attitudine alla longevità, spostando inevitabilmente l’attenzione dalla robustezza all’acidità. Un vino d’altura che rappresenta con garbo e savoir-faire l’unicità raddese all’interno dell’eterogeneo areale del Chianti Classico. Qualche anno fa venne addirittura apostrofato come “troppo scarico per rientrare nella denominazione”, una provocazione miope, che Michele raccolse e successivamente amplificò, per disegnare i tratti iconici di un unicum chiantigiano capace di far ricredere anche i primi detrattori. Messo a punto con fatica e tanta attenzione riesce veramente a trasmettere il territorio che lo origina, trasferendo nel calice i suoi punti di forza, cioè la freschezza e la ricchezza dei profumi dati dall’altitudine, e la calibrata austerità data da un sottosuolo sassoso ricco di Alberese e Galestro. Questa sera lo degustiamo alla cieca, e ritrovo ogni singolo tratto della sua casata nobiliare. Ha un colore rosso rubino luminoso che esprime un’idea di semi-trasparenza, è scorrevole e molto invitante, modellando i bordi del calice con una grazia che fa pensare alla Côte de Nuits. L’approccio olfattivo parte con la profumata nota di violetta appena raccolta, che velocemente si acquieta lasciando spazio alla natura rugginosa ed ematica del Sangiovese (che sovente esprime sensazioni ferrose legate alla carne cruda), neanche il tempo di staccare il naso dal calice che evolve ancora facendo emergere la croccantezza fruttata di ribes e lamponi. Acquisisce ampiezza allargandosi su riconoscimenti di chiodi di garofano, fondo di caffè e fave di cacao tostate, mentre un rinfrescante soffio di oli essenziali di agrumi arriva a far intendere la sua bella spalla acida. In bocca sembra francese, grazie ad una succosa scorrevolezza che sintetizza la perfetta unione tra la setosa trama tannica e la bilanciata acidità. Arriva dritto fino alla deglutizione con una piacevolezza disarmante, che chiama a gran voce il secondo bicchiere, poi il terzo, poi il quar… “eh no purtroppo è già finita!” esclamo con disappunto, si perchè il suo territoriale finale di arancia sanguinella è il motore instancabile che alacremente modella i tratti aristocratici del Baron’Ugo.
Un vino che incanta e che esprime pienamente (come pochi altri) quel concetto di terroir tanto caro ai nostri cugini d’oltralpe, definendo al suo interno la grande vocazione enoica dell’affascinante territorio chiantigiano. Un’unione tra il perfetto adattamento del Sangiovese a questo specifico ambiente e la superba espressione stilistica di chi conosce la raffinatezza e riesce, con ferrea attenzione ai dettagli, a ripeterla anno dopo anno.
TheMarchian.