
A Carmignano c’è una vigna speciale posta a 200 metri di altitudine con un terreno formato prevalentemente da galestro (la tipica argilla scagliosa delle colline della Toscana centrale) sulla quale crescono piante di Sangiovese e Canaiolo. Questo piccolo cru prende il nome dalla collina di Montalbiolo e dà vita ad un vino di Fattoria Ambra che è il Carmignano Riserva Montalbiolo. Si tratta di un vino che in alcune annate si traveste da anarchico e va controcorrente rispetto alla tipologia del Carmignano; per via del fatto che Giuseppe Rigoli a volte vuole dare la piena libertà di espressione alla verve della sua vigna più alta ed elegante. In questo angolo di terra si è creato un patrimonio inestimabile, che racchiude al suo interno tutte quelle caratteristiche che portano alcuni vini ad essere fedeli narratori del proprio habitat naturale. È così che le piante (più che trentenni) narrano una storia in cui l’altitudine, l’esposizione e la conformazione del terreno fanno si che i frutti traspongano in liquido la compartecipazione perfetta tra gli elementi naturali. Per queste ragioni a volte Beppe decide di attuare una pacifica anarchia che consiste nel non inserire il Cabernet Sauvignon nel blend, che solitamente compone questo dinamico e accattivante Carmignano Riserva. Pare strano incrociare un Carmignano Riserva che al suo interno non presenta la minima traccia della tanto cara “uva Francesca” (così, da secoli, viene chiamato il Cabernet di Carmignano); eppure è la genuina realtà dei fatti, che fa risaltare la capacità di questo areale di dare nobiltà ed eleganza al nostro amato Sangiovese. Così mi trovo davanti un gentile anarchico, che con pazienza e sobrietà mi sollecita a trovare paragoni con altri vini dal medesimo uvaggio, portandomi con estremo trasporto ad inserirlo tra i miei vini del cuore composti da Sangiovese e un po’ di Canaiolo. Senza volerlo una suggestione comincia a farsi strada tra i miei pensieri, ed è così che da una parte all’altra del mio cervello appare e scompare il mantra: “Chianteggia… chianteggia… chianteggia…” (con ovvio riferimento alla zona nobile della denominazione, l’odierno Chianti Classico). So bene che avanzare un paragone di questo tipo è come camminare su di un campo minato, ma questa Riserva Montalbiolo 2013 mi rievoca alla mente le migliori attitudini che il Sangiovese sviluppa solo in alcune zone benedette, mettendo seriamente alla prova la mia emotività. È così che piano piano prendo confidenza con un vino dallo splendido colore rosso rubino vivace e scarico sui bordi, fedele cartina tornasole dell’effettivo livello di eleganza e freschezza che sicuramente troverò durante l’assaggio. I profumi sono sofisticati, con la penetrante nota della scorza d’arancia a dare vitalità e ritmo al susseguirsi di richiami mixati tra il lavoro dell’ossigeno e la rustica natura del Sangiovese. Ciliegie, ribes, lavanda secca, sigaro spento, pelle, carne cruda e oli essenziali d’agrume sono lo stupendo susseguirsi di sensazioni che lievemente e senza sforzi si fanno più presenti e stimolanti. Il sorso è scorrevole, segnato dall’aroma dell’arancia sanguinella che come un tracciante illumina e rinfresca uno scorrimento centrale e dinamico, che con piacevolezza e serbevolezza non trova nè impressioni tanniche nè pesanti morbidezze. È così corroborante che rimango quasi spiazzato dall’inaspettato acuto piccante e rugginoso che mi punzecchia la lingua dopo la deglutizione, dandomi l’immediata voglia di sorseggiarlo ancora e ancora, perché di un vino così leggiadro, sinuoso e ritmato non mi stanco proprio mai. Sembra proprio che questa placida anarchia, nel 2013, abbia trovato tutte le carte per potersi sedere al tavolo verde con il coraggio e la sincerità di chi sa di poter arrivare alla vittoria anche giocando a carte scoperte. Grazie Beppe per aver rispettato l’unicità di una vigna che fa davvero la differenza.
TheMarchian.